Innamorarsi della parola partecipazione

“Nonno Viorel dice che, a volte, ci si può innamorare di una parola che non si è mai sentita prima, una parola nuova, e che improvvisamente ti capita di sentire dappertutto e di usare in continuazione. Al punto che ti chiedi come avevi fatto, fino a quel momento, a vivere senza”. (Geda, 2014)

Sono numerose le parole di cui sarebbe bene innamorarsi tanto da domandarsi come si faceva prima a viverne senza. Sono quelle parole che nel riuscire a nominare un’intuizione la svelano e la colorano. Non è solo poter nominare, ma anche dare potere a quella intuizione, sapendo che dare un nome significa dare vita, concedere tempo e transennare uno spazio all’interno del quale possono succedere delle cose.

“Partecipazione” è una parola di cui sarebbe bene innamorarsi, soprattutto per chi si relaziona quotidianamente con i lavori di cura e la necessità di “disporsi alla tenerezza” (Filippini, 2007) quale possibilità di rinnovare sguardi di meraviglia e apertura al possibile. Fare partecipare, e partecipare insieme, come costruzione di uno spazio per l’ascolto e l’azione dell’altro, intenzionalmente vuoto, ma colmo di un’attesa pedagogicamente circoscritta e tutelata.

Da un lato la valenza pedagogica, dall’altro quella politica, e il forte intreccio tra le due dimensioni. Nel 2004 Franca Olivetti Manoukian nel descrivere i servizi sociali come “sotto assedio” intravedeva in programmazione decentrata e partecipazione la possibilità di coinvolgere attori rilevanti nella costruzione dei servizi, affinché questi siano più centrati sulla prevenzione che sulla cura, […] più rivolti a far maturare nuove consapevolezze sui problemi della salute che a distribuire interventi specialistici, che si propongono di valorizzare nel contesto sociale la presenza di ogni persona, piuttosto che di controllare le devianze e di mantenere l’ordine costituito. (Olivetti Manoukian, 2004:34)

Ciò che rimane al setaccio delle differenze storico-politico-culturali e alle forme nelle quali si declinano, è lo sguardo attento e curioso di chi, consapevole della complessità con la quale deve confrontarsi, tenta di non cedere allo stato d’assedio, provando ad immaginare luoghi in cui poter costruire responsabilità sociali allargate, sistemi di governance, design partecipato dei servizi. Una costruzione partecipata dei significati dei percorsi di cura chiede di porsi in un atteggiamento di ricerca e disponibilità nei confronti del sapere inquieto che si fa prossimo alla sofferenza altrui. Tale postura può cogliere la sfida umanizzante di non perdere “il ‘senso della situazione’ che è sostanzialmente la possibilità di costruire insieme una chiave di lettura di quanto sta accadendo a partire dai significati delle realtà esistenziali da cui l’operatore sociale da un lato e il soggetto dall’altro provengono”. (Musi, 2007:35)

Costruire percorsi partecipativi diventa quindi un’occasione per ripensare sia la propria pratica di lavoro che di apprendimento, che si avvalga dei “saperi derivati dalla ricerca sistematica qualitativa e quantitativa sul fronteggiamento dei bisogni, sui successi, sulla resilience, ma anche e soprattutto sulla percezione che i soggetti con cui il servizio sociale collabora hanno dei problemi”. (FARGION, 2006:52)

La cornice dei percorsi partecipativi, come una tra le numerose possibili, non individua nella rincorsa al cambiamento un luogo di pensiero efficace a cogliere le sfide con cui occorre confrontarsi, quanto piuttosto nell’umiltà dovuta che diventa bussola nel lasciarsi trasformare dall’incontro con l’altro e con il suo sguardo di esperto per esperienza della sua vita e dell’incrocio che è avvenuto con il sistema dei servizi. In questo quadro nasce e si sviluppo il progetto del Care Leavers Network Italia, che rappresenta un’occasione di promozione di percorsi partecipativi nell’ambito della tutela minori con riferimento al contesto italiano. Intende promuovere un percorso di design dei servizi sociali capace di comprendere ascolto collettivo e partecipazione. Il riferimento all’ascolto collettivo individua lo strumento prioritario di accesso al percorso partecipativo. Si ritiene infatti che il passaggio dall’esperienza individuale di ciascun Care leaver all’acquisizione della consapevolezza trasformativa che deriva dall’essere esperti per esperienza, non possa essere data per scontata. Lo strumento utilizzato per poter favorire questo passaggio è la dimensione del gruppo e del confronto tra pari, sostenuto in tutte le fasi del percorso. Questa dimensione è anche utilizzata nel confronto con le istituzioni, invitate ad incontrare ragazzi e ragazze in gruppo e a considerarlo come strumento facilitante i processi di ascolto (Mauri et al., 2018).

La dimensione della partecipazione fa maggiormente riferimento agli aspetti processuali, nel senso di costruzione di un processo che non solo porti a risultati immediati, ma che possa implementare luoghi che i care leaver imparino a sentire come propri, sbilanciando il potere a proprio vantaggio e riappropriandosi di una dimensione di agency. Il progetto del Care Leavers Network Italia ha l’ambizione di lavorare ai livelli più alti della scala di Hart (1997), facilitando l’emergere di una conoscenza in cui sia determinante l’apporto dei ragazzi e delle ragazze. Centrale è l’intenzionalità e l’approccio nella costruzione delle singole azioni, perché si possa prevedere in partenza la possibilità di un forte sbilanciamento di potere a favore dei protagonisti. Ciò non può prescindere però dal considerarsi all’interno di un percorso che occorre costruire e in cui possano crearsi condizioni reali e non retoriche di partecipazione.

Diletta Mauri Assegnista di ricerca all’Università di Trento e volontaria dell’associazione Agevolando

  Bibliografia
  • Fargion, S. (2006) Tra arte e scienza: l’autonomia e i contenuti del servizio sociale, Studi Zancan, 4: 31-58.
  • Filippini, M. (2007) L’arte di disporsi alla tenerezza. Oltre le durezze cognitive e le rigidità emotive, Animazione Sociale, 37(8/9): 45-50.
  • Geda, F. (2014) Per il resto del viaggio ho sparato agli indiani, Feltrinelli, Milano.
  • Hart, R. (1997). Children’s Participation: The Theory and Practice of Involving Young Citizens in Community Development and Environmental Care, Earthscan, Londra.
  • Mauri D., Romei M., Vergano G. (2018) Il Care leaver network Italia, MinoriGiustizia, 3:166-175.
  • Musi, E. (2007) I sentimenti come risorsa nell’agire professionale. Legittimare il proprio sentire come fonte di conoscenza, Animazione Sociale, 37(8/9): 31-37.
  • Olivetti Manoukian, F. (2004) Servizi sotto assedio, Animazione sociale, 186: 33-43.
Foto: Monica Romei  
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