Desiree: “Non voltate mai le spalle ai ragazzi che vi sono affidati”

Mi chiamo Desiree, ho 34 anni e sono cresciuta “fuori famiglia”.

Sono stata in affidamento, in una comunità per bambini, in una comunità per adolescenti, in un centro diurno e in un progetto di autonomia guidata.

Tanti cambiamenti, scelti per me dal Servizio sociale, non perché fossi una bambina o una ragazza difficile ma per i problemi della mia famiglia.

La prima volta che sono entrata in comunità avevo 6 anni, mi ricordo un posto pieno di bambini e adulti, di confusione e di regole, di tanti giochi e videocassette di cartoni animati. La seconda volta avevo invece 14 anni, mi accompagnò in comunità mio padre. Io ero la più piccola, durante il primo periodo le ragazze mi parlavano spesso di un’altra ragazza che era andata via, mi facevano un po’sentire in colpa perché io avevo preso il suo posto.

All’inizio mi sentivo molto spaesata, avevo cambiato scuola e la mia classe era parecchio vivace. Non parlavo mai con i miei compagni di scuola del fatto che vivessi in comunità.

C’erano sempre regole: gli orari in cui potevamo uscire, quante telefonate potevamo fare, i turni, i telefonini che non si potevano avere. La poca libertà di decisione e di uscita erano le cose che mi pesavano di più.

Non è facile per me ripensare a quegli anni.

Devo dire però che ho avuto un grande aiuto e apprezzo che i servizi sociali e la comunità abbiano saputo aiutarmi e ascoltarmi, soprattutto nell’ultimo periodo.

Io stavo ancora studiando e mi è stata data la possibilità di finire la scuola appoggiandomi prima a casa della coordinatrice della mia comunità e poi in un appartamento ad alta autonomia. Avevo anche trovato un lavoretto come baby sitter che mi permetteva di guadagnare qualcosa e mantenermi. Compiuti 18 anni ho avuto del tempo per organizzarmi, finire gli studi e trovare una casa in affitto in cui andare a vivere da sola, anche se non è stato per niente semplice.

Compiere 18 anni quando vivi “fuori famiglia” significa affrontare molte difficoltà: la paura di non farcela, di non rispettare i tempi che altri hanno deciso per te, di non poterti permettere neanche un errore.

Io avevo paura di non riuscire a trovare un lavoro che mi desse la possibilità di mantenere una casa e nello stesso tempo avevo paura che fosse impossibile trovare una casa senza la garanzia di un lavoro.

Mi sentivo sola anche perché intorno a me gli adulti (educatori, assistenti sociali…) spesso sembravano sentirsi impotenti.

Questi erano i miei pensieri e le mie paure, ma immagino siano comuni a quelli di tanti altri ragazzi e ragazze quando si trovano ad uscire dalla comunità.

Ora vivo a Torino e lavoro in un ristorante.

Due anni fa tramite Sandra, la coordinatrice della comunità, ho conosciuto l’associazione Agevolando. È stato “amore a prima vista”.

Spesso i ragazzi che vivono “fuori famiglia” si sentono soli, per questo avere l’opportunità di frequentare altri ragazzi che vivono in comunità o in Affido attraverso l’associazione è davvero splendido. A me sarebbe stato di grande aiuto in quegli anni.

Penso che per i più giovani conoscere ragazzi e adulti come me possa essere uno stimolo per pensare: “Anche io ce la posso fare!”.

Agli educatori e agli assistenti sociali vorrei dire che credo sia molto importante ascoltare sempre il punto di vista dei ragazzi e di non arrendersi davanti ai rifiuti e alle difficoltà. Di non voltare mai le spalle ai giovani che vi sono affidati.

Spesso vi sembrerà che il vostro lavoro possa essere troppo difficile, qualche volta persino inutile, ma in realtà quello che fate è davvero prezioso e può cambiare la vita a tanti.

Per me è stato così.

Desiree Cognetti

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