Ogni benedetto giorno

A quello che è successo e soprattutto a quello che non è successo nei suoi primi 18 anni Margarette pensa quotidianamente. Lo vive, ne ha paura e lo vorrebbe saper osservare. Per poi poter vedere se stessa

Margarette c’è, ma non si vede. Riflessivo: è lei a non vedersi. Non riesce a dedicarsi uno sguardo, una carezza, il riconoscimento di una vita, o quantomeno di un’infanzia e un’adolescenza – “fatte da sé”, arrangiate. Maggiorenne da una manciata di giorni, ma “adulta” da sempre, per forza. Bambina adulta tra adulti adolescenti; adulta nella gestione di casa, delle bollette, dei soldi; adulta a sei anni, l’età della prima sigaretta. Adulta ora, quando a stabilirlo e a non ammettere proroghe è la legge. È l’eta in bilico in cui Agevolando prova ad accendere la luce, tra i 17 e i 18 anni, quel breve momento in cui si può fare la differenza tra il “lasciati indietro, soli” e “l’andare avanti, insieme”. È il momento preciso in cui Margarette ha incontrato Agevolando, o viceversa. «Me ne hanno parlato in comunità e mi sono detta “vediamo”; a Cagliari ho vissuto il primo momento insieme, con il Care Leavers Network e dopo poco ho capito che avrei voluto restare là, non tornare». Ad aspettarla, a casa, c’erano proprio loro, i diciotto anni, da compiere lo scorso 22 dicembre. «Sono pronta a badare a me stessa, ma fanno paura. Ho sempre dovuto contare soltanto su di me, non ho mai avuto genitori presenti. Anzi, ho dovuto io essere il loro genitore; gestire soldi, bollette; soprattutto ricordarmene: ricordarmi che c’erano le bollette da pagare. Non è un pensiero da bambina, o ragazzina, e invece… Sono sempre stata più grande dell’età che avevo».

Il rapporto di Margarette con i suoi genitori era e continua a essere un rumore costante, assordante anche – se non soprattutto – quando è silenzio totale; il silenzio che ha sempre fatto la sua voce. Un cortocircuito continuo di ruoli, di presenze assenti o assenze presenti. «Mi hanno sempre fatto pesare l’essere stata uno sbaglio, il fatto che non avrei dovuto nascere». E se qualcosa viene “fatto pesare” significa che quel qualcosa, in chi racconta, è reale: essere uno sbaglio. «La cosa che mi è mancata di più è l’affetto di una mamma e di un papà; non è che a un certo punto sia finito, non l’ho proprio mai ricevuto. Eppure lo sento, sento che mi manca e mi è mancato tanto. Non gliel’ho mai detto, ma gliel’ho sempre fatto intendere con le canzoni. Una volta ho messo un pezzo che diceva “non ce la faccio più a stare in questo mondo”; la reazione di mia mamma è stata rinfacciarmi che i veri problemi erano i suoi, non i miei: “Delle due dovrei essere io a togliermi la vita”, mi ha detto». Per Margarette le canzoni sono pensieri, frasi, discorsi. Perché quando capisci che per chi ti è attorno le tue parole non hanno un suono, tenti con la musica. «Parlo con la musica anche con me stessa. Non ho un genere preferito, ascolto quella che mi rappresenta, quella in cui mi trovo e mi ritrovo». Tra la domanda “quale canzone sceglieresti per raccontarti oggi” e la sua risposta passa un battito di ciglia. «Fuori luogo di Mr. Rain. Oppure Ogni maledetto giorno di Mostro, per raccontare la mia rabbia».

A cosa servirebbe andare per cambiare vita
Se ovunque vada io mi sento sempre fuori posto
Non potrai più fare a meno di quello che odi
Mentiamo a noi stessi per sentirci migliori
Siamo destinati ad essere invisibili (già)
Siamo nati solo per sentirci soli
(Fuori Luogo, Mr. Rain)

«Avrei sempre voluto imparare a suonare, ma non ne ho mai avuto la possibilità, i miei non volevano e non c’era tempo. Per i miei desideri non c’è mai stato tempo». Poi, come le battute di uno spartito, ecco le date, una dietro l’altra, come se l’unico modo per esistere fosse scolpirsi su un giorno, un mese e un anno; in un qui e ora preciso e innegabile, perché che sia esistito lo dice il calendario. «La prima volta che hanno pensato a me è stato il 31 ottobre 2019, quando me ne sono andata; ma ho fatto la stupidaggine di andare da nonna, che mi ha tenuto con lei per un po’ e poi sono dovuta tornare. Il 27 settembre 2022 invece è il giorno in cui ho detto basta, in cui la rabbia è esplosa; mi stavano mettendo le mani addosso, di nuovo, e io ho reagito, d’istinto, con la stessa violenza. Sarei voluta andare dalla mia migliore amica, a Vercelli, ma i miei hanno chiamato i Carabinieri dicendo che ero scappata. Mi hanno fermato, allora ho chiamato mia sorella e sono stata da lei fino al 31 gennaio 2023». Nella storia di Margarette però – o meglio nella prima parte della sua storia – anche una sorella o un fratello sono in larga parte “assenza”. «Lei è la prima figlia di mio padre, ma non ci hanno mai lasciato frequentare; idem con mio fratello grande, primo figlio di mio padre. Non dovevo frequentarli. In quel momento però volevo andare da lei perché sapevo che lei poteva capirmi: lei era stata la prima a non aver avuto un padre, quel padre. Mi ha creduto subito».

Di lì a breve per Margarette arriva la comunità. «Cosa ci ho trovato? All’inizio la solitudine. Soprattutto quando non mi ambiento tendo a chiudermi. E in quel caso mi ero imposta di non farlo, di non ambientarmi perché non ci volevo andare. Ora riconosco che mi sta aiutando; non sbotto più, non urlo più, non ho più certe reazioni». Il prima, prima della comunità, continua a essere un vuoto pieno di paura. «L’idea di casa ancora mi spaventa, faccio fatica a parlarne. Mamma e papà? Ci sono, esistono, ma se li sento so che finisce male. Ho paura che molte cose di come ero prima continuino a schiacciarmi, continuino a generare insicurezza. Tutto pesa e non riesco nemmeno a esprimerlo. Fidarmi? Mi fa paura, perché ogni volta che ci ho provato… Con loro ho sempre ottenuto una cosa sola: i “no”. E quando ho provato a insistere le ho prese». Poi però una cosa Margarette se l’è presa, e poco importa se è l’ennesima cosa che “fa male”; l’ha voluta e l’ha ottenuta, conta solo questo. «La sigaretta elettronica, a quattordici anni. Presto? Ma io ho iniziato a fumare a sei; loro fumavano in continuazione, io gli fregavo le sigarette e lasciavo che si accusassero a vicenda su chi le avesse prese a chi. Poi però ho voluto la mia sigaretta elettronica, e l’ho conquistata. Sì, è stata la mia prima conquista».

Chiaramente nel racconto di Margarette il futuro ha un ruolo complicatissimo; doloroso sfogliare le pagine indietro, difficile sfogliare le pagine in avanti; figurarsi scriverle, o anche solo riuscire a vederle ancora bianche. Margarette, lì, vede nero. «Ho imparato a vivere giorno per giorno perché se penso al futuro mi vedo morta. Da quando sono piccola penso di meritare di morire. Questo è quello che mi hanno trasmesso e io non voglio che il mio pensiero nel futuro sia questo. Quindi non ci penso». Figurarsi i sogni. «Non ne ho». E allora perché? Per chi o per cosa ne vale la pena? Perché la comunità, perché Agevolando, perché il Care Leavers Network, le mobilità… «Per cercare di aiutare qualcun’altro che magari non ha ancora trovato la forza di uscire, di dire basta. Perché non voglio che qualche bambino debba subire quello che ho subito io. E perché qui ci sono ragazzi e ragazze con cui condivido un passato che mai e poi mai mi farebbero pesare; mi ascoltano, e so che qualsiasi cosa dovessi raccontargli della mia vita non la userebbero mai contro di me. Agevolando siamo noi». Di “grazie” Margarette ne ha pochissimi, e ci mancherebbe altro. E il primo destinatario a mancare ovviamente è lei. «In molti mi dicono che dovrei ringraziarmi per aver avuto la forza di dire “basta”. Ma no. Io sono uscita di casa solo perché altrimenti là dentro avrei fatto qualcosa di cui poi mi sarei pentita. Perché altrimenti l’incubo vissuto ogni notte, per mesi e mesi, si sarebbe avverato: io che strozzo mamma perché non sono come dice lei». Tanto quanto i sogni, Margarette dice di non avere pensieri felici. Addirittura di non sapere cosa sia, la felicità. «No non lo so, ma ho voglia di scoprirlo. Come vorrei imparare a sentirmi importante». Perché Margarette c’è, e si vede.

So che un sogno vale più di ogni altra cosa
Quindi guardatevi dentro, siete voi i poveracci
Condividiamo lo stesso dolore
Per questo nelle mie parole ti ritrovi
Ma puoi perderti se entri nel mio cuore
Intricate geometrie di rovi
(Ogni maledetto giorno, Mostro)

Nei mesi passati da questa chiacchierata occhi negli occhi, a Cagliari, durante la mobilità per il progetto Erasmus+ KA154-YOU Youth participation activities, è successo tanto altro. Tantissimo in poco tempo, come sempre nella vita di Margarette, in cui il tempo sembra schizzare in avanti o sprofondare all’indietro. Settimane difficili, giornate lunghe. Ma anche passi avanti, la scuola, un corso di cucina che magari un giorno potrebbe diventare un corso professionale di pasticceria. Una lotta consapevole con il buio in direzione di quel futuro che insieme a Harambée, la comunità di Casale Monferrato in cui vive e insieme a Agevolando Margarette vuole e saprà costruire. Con il Care Leavers Network, con Giorgio (il referente del CLN Piemonte) e con gli amici e le amiche che stanno vivendo con lei questo percorso per riuscire a vedersi e riconoscersi.

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